DIGIUNO E PREGHIERA
da un esperienza di Giovanni Granucci

Nel 1982 mio padre si era gravemente ammalato, cure e terapie erano risultate vane, persa ogni speranza di guarigione ormai si avviava a certa dipartita.

Non sono mai stato un cattolico praticante,anzi questa parola praticante per una religione mi ha sempre dato molto fastidio perché spesso puzza di ipocrisia e falsità, però la sera una preghiera lo sempre detta anzi se non la dico mi manca qualcosa.
Ricordo ancora chiaramente quella sera, lui se ne stava seduto in salotto con la sua ferita aperta, quando entrai vedendolo in quella condizione  provai per lui una profonda compassione,
oltre quell’istintivo senso di ingiustizia che si prova quando una persona che ami sta morendo.

Fu un attimo quello in cui pensai con determinatezza razionale che dovevo trovare una soluzione e che in qualche parte del mondo avrebbe pur dovuto esserci una cura in grado di salvarlo!

Uscii però immediatamente dal personale , in lui non vidi più mio padre e divenne improvvisamente e drammaticamente l’Uomo sofferente chino su se stesso, la sua croce era la croce che porta tutta l’umanità!

In quel momentaneo distacco affettivo filiale sentii una profonda comprensione del dolore universale che ci attanaglia tutti ed un senso di Misericordia profonda mi pervase. Una frase si manifestò alta e chiara dentro di me, con tanta e tale sicurezza e fede che non ammetteva il minimo dubbio: “devo salvare quest’uomo”.

Improvvisamente ebbi una visione, mi vidi di schiena, nella semioscurità di una chiesa deserta, tra i banchi centrali, io ero là in ginocchio con la testa china. Sapevo che quella era una chiesa a cui ero legato, la stessa dove venne detto il triduo di preghiere che, mi salvò la vita nel dodicesimo mese di vita.

Ero lì solo nel buio, in digiuno a pane acqua e in preghiera per una settimana.

Fu quella dunque la risposta alla mia ferma volontà di salvare mio padre, ma non partii per quella chiesa, non feci ciò che avevo “visto” e che sicuramente avrei dovuto fare. Ci pensai troppo, avevo allora molti problemi, sparire così, in quel frangente, mi sembrò una vigliaccata, una facile fuga dalla dura realtà.

Così più le domande si affollavano, più quel flash dapprima così chiaro e inequivocabile apparve sempre più come una improbabile soluzione, forse la paura dell’ignoto mi portò a considerarlo un fatto immaginativo dovuto al mio carattere che non mollava mai  di fronte ai continui problemi e che pur di non soccombere e continuare a sperare, anche in questo disperato caso aveva magari voluto trovare la soluzione.

Ma mi sbagliavo, la semplice via del cuore non richiede tentennamenti né razionalità  né elucubrazioni mentali.

Per un piccolissimo istante ero riuscito a fermare il mondo con le sue regole e le sue leggi fisiche, per quel piccolo istante la fede aveva mosso la montagna, o comunque mi aveva indicato come fare, bastava solo eseguire ciò che già esisteva in potenza.

Fragile è a volte la natura di noi uomini, sempre pronti a negare e diffidare anziché credere e amare. Platone divideva gli uomini in tre categorie: quelli che per vivere usano il cervello, quelli che usano il cuore, quelli che usano i visceri, di tanto in tanto apparteniamo quanto all’una quanto all’altra categoria. Metà cielo, metà terra, luce e ombra in varie proporzioni ma comunque uomini, e come tali sembriamo destinati a ricadere sulla terra rovinosamente ogni qualvolta impreparati ci avviciniamo troppo al cielo.

Ho avuto modo anni dopo per un altro fatto doloroso, di fare il digiuno indicatomi. Ma anche anni prima per superare altre difficoltà avevo d'istinto seguito la stessa strada mentre per la preghiera non è mai stato così facile.

Quando lo stress ti divora giorno e notte, e lo stomaco ti brucia come un camino, attraversi momenti in cui credi proprio di aver toccato il fondo arrivando a sperare quasi che tutto fallisca come ciò fosse la liberazione da una difesa impossibile; la mente allora raddoppia gli sforzi e viaggia velocemente e in fibrillazione.

La preghiera resta quasi impossibile senza la necessaria serenità, allora pensai che potevo pregare con l’unica voce che allora si levava con forza da me, quel forno d’ansia  fu la preghiera che innalzai al cielo; provai sollievo e mi sembrò di soffrire meno.

Gran cosa la preghiera quando non recitata  come snocciolatori di filastrocche sempre uguali, si fa partire dal cuore, le parole pur ripetute non sono mai le stesse!

Per due anni divenni vegetariano e in seguito ho cercato di limitare il consumo di carne.

Queste tre azioni, digiuno limitato, preghiera, limitazione nel mangiare carne, migliorarono le “coincidenze quotidiane”, portandomi lentamente ma progressivamente fuori dal tunnel.

Naturalmente per buone coincidenze non vanno intesi i colpi di fortuna, ma  le opportunità di miglioramento rese dinamiche dall’impegno personale.

Ho già fatto riferimento al legame che sento con la Madre Celeste, la Madonna, nelle apparizioni mariane spesso questa Grande Donna ha dato come indicazione ai fedeli il digiuno e la preghiera.

Per coloro che credono, questa strada è evidentemente la più semplice ed efficace per avvicinarsi alla Divinità. Come nella vita quotidiana per avvicinarci a una meta  utilizziamo un veicolo, così nel viaggio verso la conoscenza di se stessi il veicolo da utilizzare può essere lo stesso nostro corpo energetico-vibrazionale.

Più questo corpo è raffinato nelle sue vibrazioni (più è evoluto) più è luminoso e se Dio è anche la Grande Luce, maggiormente chi intraprende  questa strada riuscirà ad avvicinarsi alla meta, dato che ogni corpo vibrazionale raggiunge per simpatia il luogo che vibra alla sua stessa frequenza, e questo vale purtroppo anche per vibrazioni grossolane e scure.

La preghiera quindi va intesa proprio come un mezzo di trasformazione delle vibrazioni di chi la pronuncia, con la preghiera noi ci colleghiamo alla fonte Divina, “toccandone” infatti le vibrazioni più luminose esse finiscono per migliorare le nostre.

Se unita anche ad un modesto  digiuno l’effetto della preghiera risulta ulteriormente amplificato, in quanto il corpo di carne sospendendo la somministrazione di cibo si mette per così dire in secondo piano, lasciando più spazio al corpo energetico, ovvero si permette un miglior contatto col trascendente.

 Quindi quando la Madre Celeste indica “digiuno e preghiera” non deve essere inteso come una semplice azione di sottomissione affinché il Padre-Madre veda quanto gli uomini siano bravi e obbedienti, ma è un vero e proprio insegnamento, atto alla trasformazione dell’anima, necessario per raggiungere le mete più alte.

Inoltre quando questo insegnamento viene dato, riguarda a volte, non solo l’evoluzione individuale, ma anche la bonifica vibrazionale di una certa zona, con la creazione di uno scudo protettivo nei confronti di energie ostili all’uomo che per motivi contingenti stanno prendendo il sopravvento.

Il digiuno rappresenta poi un’ esperienza particolare con se stessi.

Durante un digiuno di alcuni giorni, limitato all’assunzione di pane ed acqua, avvicinarsi a un pezzo di pane diventa un piccolo viaggio mistico, che se fatto con un interiore raccoglimento (senza desiderio né fanatismo) fatto con l’avvicinamento, il percepire con il tatto, lo staccarne con le mani una parte,portarlo alla bocca e mangiare.

La consapevolezza tinge tutto di gesti quasi sacrali, nel rispetto di ciò che si ha e si fa in quel momento. Dal poco scaturisce molto.

Nel rapporto con questa piccola cosa e non tragga in inganno l’esempio col pane, scaturisce una sorta di comunione con il divino interiore in cui contemplazione, viaggio e meta sono tutt’uno! Tre aspetti uniti, che sono solo apparentemente l’uno la continuazione dell’altro.

La felicità scaturisce proprio da questa magnifica unità di tre fasi che danno la stessa sensazione appagante. Non sono queste vere ricchezze permanenti?

 Dovremmo tentare di farle nostre queste sensazioni e gestualità che una volta provate si memorizzano nel cuore, cercando di estenderle a tutto il nostro essere, dal pensiero al gesto quotidiano, realizzando una vera permanente comunione con lo Spirito delle cose create da Dio,e con il proprio Se. Realizzare questo vuol dire pregare continuamente attraverso i gesti, il tono della voce, il camminare, la preghiera allora non sarà più un’ orazione limitata a un testo ma spontaneo vivere.

Spesso diamo eccessiva importanza ai traguardi da raggiungere, noi uomini inseguiamo potere e ricchezze in continuazione  con una sete senza fine. Anche per i traguardi più dignitosi e meno effimeri, ci accorgiamo che una volta raggiunti la soddisfazione attesa non è pari all’aspettativa che ci ha alimentato nel viaggio.

Importante, se lo si sa vivere, è proprio il viaggio che si fa per raggiungere uno scopo, almeno quanto la meta, se non di più! Il sapore della vittoria è più forte quando ancora non la si è conquistata!

A quel punto potremmo anche rinunciare alla meta perché il viaggio ci ha già dato tanto spiritualmente mettendoci alla prova e superandola ecco perché ne siamo già appagati in quanto la meta era la prova per raggiungerla e non essa stessa.  

Ecco che allora scatta il valore della rinuncia e quel pezzo di pane puoi anche non mangiarlo più.

Si è trattato di brevi digiuni (di più non ho saputo fare) per fare i quali ognuno deve essere consapevole delle proprie condizioni fisiche e porsi sotto un adeguato controllo medico quando siano più lunghi di un giorno.